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Web 2.0: un business possibile

Editoria e informazione verso i media sociali alla Fiera del Libro da poco conclusa

E’ quello che la Fondazione Torino Wireless, rappresentata da Laura Morgagni, persegue con la propria attività. "Siamo alla ricerca di nuovi modelli di creazione di valore e profitto" dice Morgagni "Il business funziona infatti modulando e integrando un offerta di servizi diversi tra online e offline, che soddisfino un bisogno senza dimenticare l’ormai inevitabile cultura della partecipazione e dell’interattivita’". L’elemento partecipativo proprio dei media sociali diventa cosi’ occasione reale di business. Una valutazione trasversale a tutti i partecipanti che vede nell’analisi delle statistiche di comportamento degli utenti, nella loro segmentazione e profilazione puntuale, attraverso gli strumenti di social tagging, un canale eccezionale di business, a cui il mercato pubblicitario tradizionale non guarda ancora con la dovuta attenzione.
"Sono giornalista e blogger" dice Emil Abirascid di Nova, Il Sole 24ore "e ho sul mio blog ben più di 6000 lettori interessati e partecipativi". Una campagna pubblicitaria segmentata su un pubblico profilato su base statistica ha un potenziale di penetrazione ben più elevato di quanto non sia quello di una campagna tradizionale sulla stampa generalista, il cui pubblico e’ rappresentato da ?chiunque?. La pubblicità online permette dunque una misurazione qualitativa di una campagna, ma anche un media mix complesso e multimediale. Due aspetti essenziali per favorire una raccolta pubblicitaria profittevole per inserzionista e immagine di marca.
Come sottolinea Daniele Alberti, di Glomera, "La pubblicità moltiplica i suoi canali. Con la trasformazione in senso multimediale delle testate non c’e’ piu’ un solo messaggio e un solo canale. Il media mix si arricchisce, spesso in una pagina web troviamo tutte le forme di pubblicita’ dal banner statico, al mini spot video, al concorso, al banner animato. Un’offerta scalabile che unisce canali tradizionali come la carta e nuovi modelli di business spostati sul digitale e già aperti al mercato internazionale". Internazionalizzazione, dimensione multiservizio e integrazione tra reale e virtuale, sono secondo Alberti il modello di business vincente in qualsiasi settore legato al web.
 
E l’editoria, come dimostrano i dati degli investimenti pubblicitari non fa eccezione, con uno spostamento sempre più significativo verso il digitale che ha segnato un +41% alla fine del 2007 – https://iab.blogosfere.it/2008/01/i-dati-degli-investimenti-pubblicitari-online-di-novembre-2007.html -.
Grazie alla segmentazione dell’utenza e alla tracciabilita’ dell’utente inoltre, lo user generated content diventa profittevole non solo per l’impresa ma anche per chi genera contenuti dal basso. Sia Youtube che CurrentTV recentemente sbarcata in Italia sono tra i servizi che non hanno escluso di pagare gli utenti per i propri upload. Contenuti generati dal basso che grazie alla profilazione che internet permette diventano oggetto di inserzione pubblicitaria, facendo degli utenti i produttori, consumatori ma anche gli ?azionisti? che guadagnano da e con le imprese.
Una vera rivoluzione che Eleonora Pantò analizza citando la pubblicazione di CSP ?Dal Web 2.0 ai media Sociali?www.csp.it/it/pubblicazioni/cooperazione_in_rete ? e la riduzione dei tempi del time to market. "Con il coinvolgimento degli utenti nel debugging delle versioni beta, il time to market si riduce drasticamente. La cultura dei media sociali applicata al business permette di creare prodotti piu’ qualificati, efficaci, user friendly, garantendo un livello di soddisfazione del cliente ben maggiore proprio grazie alla sua partecipazione attiva".
"La rivoluzione culturale non tocca però solo il business" dice Panto’ "si sta riconfigurando anche il ruolo dei mediatori del sapere dai giornalisti agli insegnanti. Non smetteranno di esistere, ma dai giornali alla scuola, dovranno ridiscutere il proprio ruolo nel senso di maggiore dibattito, confronto, dialettica in un universo culturale mutevole dove le gerarchie sociali giocano un ruolo di autorità ben inferiore rispetto alla credibilita’ acquisita sul campo".
?Dibattito e dialettica producono un enorme quantità di contenuti? conclude Francesco Ardito di Vieweb.it ?ma non va dimenticata l’attenzione alla qualità delle fonti. Non tutto ciò che si trova in rete e’ qualificato ma il potenziale di propagazione e’ talmente forte che spesso cose finte diventano vere poiché riprese incautamente dalla stampa. Rafforzare la credibilità del web facendo attenzione alla credibilità reale è un vantaggio non solo per l’utente ma anche per chi nella rete fa business?.
 
?In questo senso? aggiunge Gianfranco Forni di IntelligenceFocus, ?l’uso delle statistiche e degli strumenti di social tagging sono utili per la valutazione ad esempio del livello di penetrazione della marca. Esistono sistemi che adattano il concetto di credibilità propria dei media sociali al brand e ne valutano in termini qualitativi la reputazione di cui gode in rete rilevando naturalmente i segmenti di mercato su cui dovrebbe posizionarsi maggiormente?. Una mappatura che non si limita ai contenuti statici, ma è ormai possibile anche per l’audio video ampliando ulteriormente il campo di azione per nuovi business a cui anche i settori più tradizionali devono guardare per affrontare i consumatori del futuro, i nativi digitali parcellizzati, disinteressati alla TV e a tutto ciò che è statico e non multitasking.